A proposito delle proteste degli agricoltori
Noi contadini e contadine della rete fiorentina di Genuino Clandestino stiamo osservando fin dal suo inizio questo importante momento di lotta, agito e provocato dagli attori principali del sistema industriale della produzione del cibo.
Non è stato semplice prendere una posizione in merito a gli eventi che in questo inverno caldo stanno attraversando gran parte delle città europee. Ormai da settimane gli agricoltori sono scesi in strada con i propri trattori per protestare contro le politiche stringenti che colpiscono il primo settore, quello della produzione del cibo; questi imprenditori agricoli, così definiti per legge, si ribellano alle imposizioni di un complesso di leggi e regolamenti e ad un altrettanto complesso sistema di incentivazione (la PAC su tutto) nella sua ultima versione (2023-2027), che accusano come penalizzanti nei loro confronti.
Tali misure si inseriscono nel solco della cosiddetta “transizione ecologica”, formula ormai ambigua e oltremodo abusata, per tendere verso una più “sostenibile” modalità di produzione del cibo, innescando un braccio di ferro con gli attori primari della filiera. Proteste spesso accompagnate e sostenute da cittadini che in modo più o meno strutturato e consapevole si sentono in balia di un sistema di cui non si fidano più, e che sentono anche di dovere contrastare, disertare, sovvertire.
Da una parte quindi il mondo della produzione del cibo convenzionale (gli imprenditori agricoli), quindi un modello industriale, energivoro, tossico e petrolifero, dipendente da input chimici e da spietati meccanismi finanziari capitalisti e neoliberisti (dinamiche globali di mercato regolate dai trattati sovranazionali).
Dall’altra il Parlamento Europeo e le organizzazioni interne degli stati membri, che sistematicamente hanno prodotto regolamenti e incentivazioni economiche producenti esattamente l’opposto delle finalità dichiarate nei decenni scorsi. La classe politica responsabile dell’attuale sfacelo sociale ed ambientale diventa improvvisamente “green” ed impone la presunta transizione scaricando totalmente i costi su soggetti già gravati da decenni di politiche che hanno teso a salvaguardare gli interessi delle multinazionali finanziarie, della produzione delle sementi, della chimica e delle biotecnologie, nonché del settore industriale della metalmeccanica .
Tutto fa pensare che l’attuale crisi del sistema darà luogo ad una transizione che vedrà imporsi la digitalizzazione e la manipolazione genetica come soluzione alle problematiche produttive ed ambientali, ovvero quell’agricoltura 4.0 detta “di precisione” e propagandata come “innovazione sostenibile”, ripetendo all’infinito l’inganno della rivoluzione verde prima e della green-economy poi.
All’interno di questo contraddittorio contesto, in cui l’argomento della produzione del cibo è diventato finalmente centrale nel dibattito pubblico, sentiamo il bisogno di prenderci uno spazio per rompere il dualismo di posizioni descritto in precedenza, restituendo significato al ruolo delle contadine e del loro lavoro.
Premesso che ogni rivolta, per noi, è da accogliere con simpatia e da comprendere a fondo, non difendiamo né offendiamo nessuna delle due parti: ci sentiamo completamente fuori da questa partita, semplicemente perché il campo su cui la si vuole disputare non è il nostro campo.
Essere contadine significa infatti prendersi cura della terra, saperla comprendere come parte integrante di un sistema articolato e interdipendente; significa intendere l’agro-ecosistema come un complesso di relazioni tra viventi, e non come spazio inerte da manipolare e sfruttare adottando l’una o l’altra tecnologia. La pratica quotidiana dell’agricoltura agro-ecologica ci pone completamente su un altro piano: le considerazioni sul modello agricolo da adottare e difendere non hanno basi meramente economiche, né sono legate ad interessi particolari e corporativi. Ciò che conta, per noi, è produrre cibo sano e di qualità, da distribuire il più possibile sul territorio, senza sfruttamento dell’umano sull’umano e dell’umano sull’ambiente, garantendo quindi la conservazione degli agro-ecosistemi senza depauperarne le risorse.
Ci stanno strette quindi analisi semplicistiche tra agricoltori “cattivi” e istituzioni “buone” e viceversa, così come l’appiattimento del dibattito pubblico su una dicotomia che relega la scelta tra la padella e la brace; per questo motivo abbiamo stilato alcuni punti che rappresentano alcuni capisaldi della nostra visione.
I nostri punti
- Molte accreditate analisi e stime confermano il dato sull’importanza determinante della produzione industriale del cibo come fonte di inquinamento e ingiustizia sociale; pertanto non può esistere una vera e reale transizione ecologica senza promuovere e praticare la produzione locale e agro-ecologica del cibo.
- Praticare agricoltura agro-ecologica vuol dire produrre cibo attraverso la costruzione di agro-ecosistemi sostenibili. La sostenibilità non riguarda soltanto le pratiche agricole, ma anche i rapporti esistenti nella componente umana che le mette in atto. Nello specifico questo significa eliminare ogni tipologia di sfruttamento del lavoro.
- Avere consapevolezza che noi e il pianeta siamo la stessa cosa: avvelenando gli ecosistemi, alterando gli equilibri climatici e ambientali, bruciando le foreste, dirottando i corsi d’acqua, depauperando i suoli, distruggiamo noi stesse. Dobbiamo pertanto sostenere le pratiche che contrastano la devastazione dei territori e la loro messa a profitto.
- L’ecologia imposta dall’alto, attraverso strumenti legislativi contraddittori e rispondenti ad interessi molteplici, non è applicabile e spesso risulta controproducente. È necessario viceversa valorizzare ciò che viene dal basso, dalle pratiche quotidiane, dalle dinamiche che definiscono le comunità agro-ecologiche. Attribuire le responsabilità dell’inquinamento e della distruzione dell’ambiente ai singoli è riduttivo e talvolta fuorviante: le colpe sono da ricercare nel sistema di produzione capitalista e in chi lo promuove.
- Favorire la produzione locale su piccola scala, stimolando la presa in carico della produzione di cibo da parte delle comunità locali laddove possibile. In un’ottica più vasta, ciò si traduce nel tentativo di disegnare un diverso equilibrio tra città “consumatrice” e campagna “produttrice”, rafforzando quegli strumenti (mercati contadini, GAS, CSA, ecc.) che creano legami all’interno della filiera che riescono ad andare oltre il mero commercio.
- Incentivare l’accesso alla terra e l’avviamento di attività contadine anche a chi non possiede adeguati strumenti economici, attraverso forme di credito comunitario e mettendo a disposizione i terreni incolti pubblici e privati. Oltre a rappresentare una dignitosa e sostenibile scelta professionale e di vita, l’incremento di numero degli addetti alla produzione agricola è necessario a rendere praticabile su scala più ampia il modello agro-ecologico, e quindi a rigettare un’agricoltura basata non sull’umano ma su meccanizzazione, automazione e input esterni.
- Promuovere lo scambio e la custodia dei saperi tradizionali, la riproduzione dei semi e la condivisione comunitaria degli strumenti, nell’ottica di conservare e salvaguardare un certo grado di indipendenza rispetto alla messa a profitto del vivente e alla gestione verticistica di risorse e mezzi di produzione.
- Favorire le pratiche agricole che conservano la fertilità dei suoli e il contenimento di patogeni ed infestanti senza l’utilizzo di input chimici. Chiudere il ciclo della materia all’interno dell’agro-ecosistema per quanto possibile, così come la messa al bando della monocoltura e la corretta esecuzione delle rotazioni colturali, sono solo alcune delle pratiche che consentono di rendere veramente sostenibile la produzione del cibo.
- Combattere ogni forma di manipolazione genetica come i cosiddetti nuovi OGM (TEA); ciò per limitare i potenziali squilibri derivanti dalla loro immissione nell’ambiente, per contrastare il business della fornitura della sementi gestita da pochi colossi a livello mondiale e infine per smontare la narrazione che vede in questo tipo di tecnologia la risposta più efficace alle alterazioni dovute ai cambiamenti climatici, senza in questo modo tirarne in ballo le cause.
- Smettere di equiparare i contadini con l’agro-industria a livello normativo, igienico in particolare. L’adozione degli accorgimenti previsti per legge è in moltissimi casi inutile e troppo costosa per attività il cui volume economico è molto limitato ed in cui la salubrità dei prodotti è garantita in tutt’altra maniera. Sostituire ad essa un sistema di autocontrollo partecipato gestito dalle comunità locali è necessario e già praticato all’interno dei circuiti di molte comunità contadine.
Comunicato della Comunità di Resistenza Contadina Jerome Laronze, rete fiorentina di Genuino Clandestino