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Comunicato della Comunità di Resistenza Contadina Jerome Laronze per il 25 aprile

Oggi la guerra continua ad espandersi sempre di più, devastando e risucchiando al suo interno la risorsa più importante: la terra!
Risorsa che che viene sottratta e sfruttata per il benessere di quegli stati, di quei poteri che portano e sostengono il progresso tecnologico a scapito di chi è alla continua ricerca di un’alternativa possibile, tramite l’autodeterminazione alimentare, la coesistenza e il rispetto di tutto il vivente.
Una guerra che non si consuma solo nei territori di battaglia, ma anche nelle vite che il capitalismo ci impone.

Ci hanno rinchiuso in case sempre più piccole, sempre più strette, senza più terra attorno, solo cemento.
Su quella terra dove si coltivava, hanno costruito le loro fabbriche, le loro ferrovie, le loro caserme.
Ci costringono a comprare cibo avvelenato – da erbicidi e pesticidi, cibo energivoro – prodotto sotto migliaia di ettari di serre riscaldate, conservato in enormi celle frigorifere, cibo usa e getta, e getta anche se non usa, perché scade.
Cibo che è la morte e lo sfruttamento di miliardi di animali allevati e catturati.
Cibo che per produrlo è stato ucciso tutto il resto – piante, microrganismi, foreste, comunità animali e umane.

Questo mondo e chi lo governa ci tolgono la possibilità di sopravvivere senza di loro, e quindi dover pagare per sopravvivere. Ci hanno tolto la possibilità e capacità di farci da mangiare e di vivere dei frutti della terra coltivata e selvatica.

I movimenti contadini e rivoluzionari di tutto il mondo – dell’india, del Messico, della Palestina… – resistono contro questo sistema di oppressione e messa in dipendenza, organizzandosi e lottando sapendo che un altro modo di vivere è possibile.

Riprendiamoci lo spazio.
Per re-imparare a coltivare e autoprodurre la nostra sussistenza, per farlo in comunità, farlo nei luoghi che ci hanno sottratto. Farlo nelle città, nelle campagne, sui monti.
Per recuperare la possibilità di vivere della comunità e della terra che abitiamo.
Conoscendola, rispettandola e non sfruttandola e avvelenandola.
Difendendola dalle devastazioni, dai continui attacchi di grandi opere inutili .

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Oggi nella bolla europea, che si vanta di tutelare i diritti inalienabili dell’essere umano, sta per essere rilasciata un arma che non risparmierà niente e nessuno: parliamo della nuova manipolazione genetica dei semi.

I TEA, acronimo di Tecniche di Evoluzione Assistita, stanno per fare il loro ingresso in agricoltura.
Li differenzia dai vecchi OGM: un nome neutro, non riconoscibile dal grande pubblico.
Questi semi produrranno polline fertile che contaminerà tutte le colture circostanti e l’intera biosfera, senza alcuna possibilità di difendersi.
Anche per chi cerca di coltivare in modo genuino, diventerà impossibile farlo.
Come diventerà impossibile sapere se il cibo che si sta comprando sia stato prodotto attraverso queste tecnologie o meno – poiché non sarà obbligatoria la tracciabilità.
Sono semi iperproduttivi – brevettati e in vendita – per sostenere il ritmo di questo ultracapitalismo al collasso climatico.
La manipolazione genetica e i suoi prodotti minacciano la biodiversità e le pratiche agricole locali; rendono dipendenti da una manciata di multinazionali che favoriscono la coltivazione e l’allevamento intensivi e coloniali.
Con il decreto siccità è stato dato il via alla sperimentazione in campo di questi semi anche nello stato italiano, a firmarlo all’unanimità i 12 senatori di fratelli d’italia.
Non lasciamoglielo fare ancora, resistere è possibile.

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Ma non è possibile una contadinanza patriarcale.
L’agri-cultura ci insegna l’ascolto, la cura, il rispetto; non possiamo pensare allora di poter sopportare o tollerare altre sopraffazioni.
Vogliamo smontare il sistema per cui l’uomo, le persone bianche, ricche o abbastanza produttive per questo mondo possano agire del potere o godere di un privilegio maggiore rispetto a chi non rientra in queste categorie.
Se vogliamo trasformare questo mondo dobbiamo responsabilizzarci anche delle oppressioni che agiamo a nostra volta; ovvero come interpretiamo i ruoli che la società ci ha assegnato; e come trasformarli.

Abbiamo bisogno di liberarci – sistemicamente e internamente – dalla cultura patriarcale della violenza, della sopraffazione, della guerra; e di tutto quello che costruisce dentro di noi.
Vogliamo comunità di cura, in cui non sfruttiamo il potere che possiamo avere e non soccombiamo a quello che ci viene imposto.
Per non dover resistere, invece, almeno tra di noi.

Resistere in questo presente, per noi e per tante altre comunità contadine, vuol dire riviversi la terra,
riprendersi le terre rubate dall’agroindustria, opporci alle devastazioni, occupare i luoghi abbandonati della speculazione, rimanere a radici salde nelle case che ci vogliono togliere, riconcepire la terra come risorsa e il cibo come ricchezza.
In campagna e in città riprenderci lo spazio, ricominciare ad autoprodurre e condividere la nostra sussistenza, fuori dallo sfruttamento e dallo stato.
Per tutto questo e tanto altro siamo qui oggi in piazza saremo domani in piazza tasso dalle 14 al mercato contadino e sabato alla coop di gavinana.
Due giornate di mobilitazione contro i nuovi ogm: i T.E.A.
E saremo il 18 maggio nella provincia di Pavia per una mobilitazione collettiva dove avrà sede il primo campo sperimentale di riso OGM, approvato nel marzo 2024 l’autodeterminazione alimentare è antifascismo.
L’autonomia contadina è resistenza.

La Comunità di Resistenza Contadina Jerome Laronze

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Il trattoRE è nudo – dalla Comunità di Resistenza Contadina Jerome Laronze

A proposito delle proteste degli agricoltori

Noi contadini e contadine della rete fiorentina di Genuino Clandestino stiamo osservando fin dal suo inizio questo importante momento di lotta, agito e provocato dagli attori principali del sistema industriale della produzione del cibo.

Non è stato semplice prendere una posizione in merito a gli eventi che in questo inverno caldo stanno attraversando gran parte delle città europee. Ormai da settimane gli agricoltori sono scesi in strada con i propri trattori per protestare contro le politiche stringenti che colpiscono il primo settore, quello della produzione del cibo; questi imprenditori agricoli, così definiti per legge, si ribellano alle imposizioni di un complesso di leggi e regolamenti e ad un altrettanto complesso sistema di incentivazione (la PAC su tutto) nella sua ultima versione (2023-2027), che accusano come penalizzanti nei loro confronti.

Tali misure si inseriscono nel solco della cosiddetta “transizione ecologica”, formula ormai ambigua e oltremodo abusata, per tendere verso una più “sostenibile” modalità di produzione del cibo, innescando un braccio di ferro con gli attori primari della filiera. Proteste spesso accompagnate e sostenute da cittadini che in modo più o meno strutturato e consapevole si sentono in balia di un sistema di cui non si fidano più, e che sentono anche di dovere contrastare, disertare, sovvertire.

Da una parte quindi il mondo della produzione del cibo convenzionale (gli imprenditori agricoli), quindi un modello industriale, energivoro, tossico e petrolifero, dipendente da input chimici e da spietati meccanismi finanziari capitalisti e neoliberisti (dinamiche globali di mercato regolate dai trattati sovranazionali).

Dall’altra il Parlamento Europeo e le organizzazioni interne degli stati membri, che sistematicamente hanno prodotto regolamenti e incentivazioni economiche producenti esattamente l’opposto delle finalità dichiarate nei decenni scorsi. La classe politica responsabile dell’attuale sfacelo sociale ed ambientale diventa improvvisamente “green” ed impone la presunta transizione scaricando totalmente i costi su soggetti già gravati da decenni di politiche che hanno teso a salvaguardare gli interessi delle multinazionali finanziarie, della produzione delle sementi, della chimica e delle biotecnologie, nonché del settore industriale della metalmeccanica .

Tutto fa pensare che l’attuale crisi del sistema darà luogo ad una transizione che vedrà imporsi la digitalizzazione e la manipolazione genetica come soluzione alle problematiche produttive ed ambientali, ovvero quell’agricoltura 4.0 detta “di precisione” e propagandata come “innovazione sostenibile”, ripetendo all’infinito l’inganno della rivoluzione verde prima e della green-economy poi.

All’interno di questo contraddittorio contesto, in cui l’argomento della produzione del cibo è diventato finalmente centrale nel dibattito pubblico, sentiamo il bisogno di prenderci uno spazio per rompere il dualismo di posizioni descritto in precedenza, restituendo significato al ruolo delle contadine e del loro lavoro.

Premesso che ogni rivolta, per noi, è da accogliere con simpatia e da comprendere a fondo, non difendiamo né offendiamo nessuna delle due parti: ci sentiamo completamente fuori da questa partita, semplicemente perché il campo su cui la si vuole disputare non è il nostro campo.

Essere contadine significa infatti prendersi cura della terra, saperla comprendere come parte integrante di un sistema articolato e interdipendente; significa intendere l’agro-ecosistema come un complesso di relazioni tra viventi, e non come spazio inerte da manipolare e sfruttare adottando l’una o l’altra tecnologia. La pratica quotidiana dell’agricoltura agro-ecologica ci pone completamente su un altro piano: le considerazioni sul modello agricolo da adottare e difendere non hanno basi meramente economiche, né sono legate ad interessi particolari e corporativi. Ciò che conta, per noi, è produrre cibo sano e di qualità, da distribuire il più possibile sul territorio, senza sfruttamento dell’umano sull’umano e dell’umano sull’ambiente, garantendo quindi la conservazione degli agro-ecosistemi senza depauperarne le risorse.

Ci stanno strette quindi analisi semplicistiche tra agricoltori “cattivi” e istituzioni “buone” e viceversa, così come l’appiattimento del dibattito pubblico su una dicotomia che relega la scelta tra la padella e la brace; per questo motivo abbiamo stilato alcuni punti che rappresentano alcuni capisaldi della nostra visione.

I nostri punti

  • Molte accreditate analisi e stime confermano il dato sull’importanza determinante della produzione industriale del cibo come fonte di inquinamento e ingiustizia sociale; pertanto non può esistere una vera e reale transizione ecologica senza promuovere e praticare la produzione locale e agro-ecologica del cibo.
  • Praticare agricoltura agro-ecologica vuol dire produrre cibo attraverso la costruzione di agro-ecosistemi sostenibili. La sostenibilità non riguarda soltanto le pratiche agricole, ma anche i rapporti esistenti nella componente umana che le mette in atto. Nello specifico questo significa eliminare ogni tipologia di sfruttamento del lavoro.
  • Avere consapevolezza che noi e il pianeta siamo la stessa cosa: avvelenando gli ecosistemi, alterando gli equilibri climatici e ambientali, bruciando le foreste, dirottando i corsi d’acqua, depauperando i suoli, distruggiamo noi stesse. Dobbiamo pertanto sostenere le pratiche che contrastano la devastazione dei territori e la loro messa a profitto.
  • L’ecologia imposta dall’alto, attraverso strumenti legislativi contraddittori e rispondenti ad interessi molteplici, non è applicabile e spesso risulta controproducente. È necessario viceversa valorizzare ciò che viene dal basso, dalle pratiche quotidiane, dalle dinamiche che definiscono le comunità agro-ecologiche. Attribuire le responsabilità dell’inquinamento e della distruzione dell’ambiente ai singoli è riduttivo e talvolta fuorviante: le colpe sono da ricercare nel sistema di produzione capitalista e in chi lo promuove.
  • Favorire la produzione locale su piccola scala, stimolando la presa in carico della produzione di cibo da parte delle comunità locali laddove possibile. In un’ottica più vasta, ciò si traduce nel tentativo di disegnare un diverso equilibrio tra città “consumatrice” e campagna “produttrice”, rafforzando quegli strumenti (mercati contadini, GAS, CSA, ecc.) che creano legami all’interno della filiera che riescono ad andare oltre il mero commercio.
  • Incentivare l’accesso alla terra e l’avviamento di attività contadine anche a chi non possiede adeguati strumenti economici, attraverso forme di credito comunitario e mettendo a disposizione i terreni incolti pubblici e privati. Oltre a rappresentare una dignitosa e sostenibile scelta professionale e di vita, l’incremento di numero degli addetti alla produzione agricola è necessario a rendere praticabile su scala più ampia il modello agro-ecologico, e quindi a rigettare un’agricoltura basata non sull’umano ma su meccanizzazione, automazione e input esterni.
  • Promuovere lo scambio e la custodia dei saperi tradizionali, la riproduzione dei semi e la condivisione comunitaria degli strumenti, nell’ottica di conservare e salvaguardare un certo grado di indipendenza rispetto alla messa a profitto del vivente e alla gestione verticistica di risorse e mezzi di produzione.
  • Favorire le pratiche agricole che conservano la fertilità dei suoli e il contenimento di patogeni ed infestanti senza l’utilizzo di input chimici. Chiudere il ciclo della materia all’interno dell’agro-ecosistema per quanto possibile, così come la messa al bando della monocoltura e la corretta esecuzione delle rotazioni colturali, sono solo alcune delle pratiche che consentono di rendere veramente sostenibile la produzione del cibo.
  • Combattere ogni forma di manipolazione genetica come i cosiddetti nuovi OGM (TEA); ciò per limitare i potenziali squilibri derivanti dalla loro immissione nell’ambiente, per contrastare il business della fornitura della sementi gestita da pochi colossi a livello mondiale e infine per smontare la narrazione che vede in questo tipo di tecnologia la risposta più efficace alle alterazioni dovute ai cambiamenti climatici, senza in questo modo tirarne in ballo le cause.
  • Smettere di equiparare i contadini con l’agro-industria a livello normativo, igienico in particolare. L’adozione degli accorgimenti previsti per legge è in moltissimi casi inutile e troppo costosa per attività il cui volume economico è molto limitato ed in cui la salubrità dei prodotti è garantita in tutt’altra maniera. Sostituire ad essa un sistema di autocontrollo partecipato gestito dalle comunità locali è necessario e già praticato all’interno dei circuiti di molte comunità contadine.

Comunicato della Comunità di Resistenza Contadina Jerome Laronze, rete fiorentina di Genuino Clandestino

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Epigenetica – Daniela Conti

EPIGENERTICA: NON DAL SOLO DNA E’ FATTO UN ORGANISMO

di Daniela Conti

SOMMARIO: Nell’eseguire le istruzioni inscritto nelle sue sequenze, il DNA NON è autonomo dalle influenze esterne, come sostiene il paradigma DNA-centrico che ancora domina la nostra cultura. E’ vero, piuttosto, che il funzionamento del DNA si adatta costantemente agli stimoli ambientali e cambia in loro funzione.

Dalla genetica molecolare all’epigenetica

A partire dal 1953, anno in cui Watson e Crick proposero la struttura a doppia elica del DNA, la Genetica subì una radicale trasformazione: una nuova epoca ebbe inizio, l’epoca della Genetica molecolare. Dal metodo fondato su incroci e selezione che aveva caratterizzato la genetica fin dalle sue origini nell’Ottocento, l’attenzione si spostò sulle proprietà chimico-fisiche della molecola del DNA, da poco individuata come il veicolo della trasmissione ereditaria dei caratteri. Per tutti gli anni ’50 e ’60 fu un susseguirsi di grandi scoperte, dal decifrare il codice genetico allo scoprire i processi dell’espressione genica, che portano dal DNA alle proteine (= i caratteri di un organismo). Questo percorso culminò nei primi anni ’70 con la nascita dell’Ingegneria genetica. Le nuove tecniche consentivano di costruire in laboratorio DNA ricombinanti legando insieme sequenze di specie diverse. Ciò diede straordinario impulso alla genetica molecolare, ulteriormente accelerato negli anni ’80 dall’introduzione del brevetto sulle sequenze di DNA. Accentuando la dipendenza delle tecmologie genetiche da logiche di profitto industriale e di mercato, il brevetto aggravò l’impostazione riduzionista e deterministica della giovane disciplina molecolare. La genetica classica, con i suoi pazienti incroci e la sua costante attenzione all’influenza dell’ambiente sullo sviluppo, fu relegata a un ruolo secondario, con scarsi finanziamenti e poca o nulla visibilità mediatica (= possibilità di influenza culturale).

Fino agli inizi del Duemila, la Genetica molecolare è stata dominata dal Dogma Centrale proposto da Crick: l’informazione genetica fluisce in un’unica direzione, dal DNA all’RNA alle proteine (le quali danno forma ai caratteri), e mai nella direzione opposta. Secondo il paradigma gene-centrico basato sul Dogma Centrale, il DNA funziona in modo autonomo, isolato da ogni influenza esterna. Le sequenze geniche determinano rigidamente i caratteri di ogni organismo, attraverso la produzione di singole proteine. Nel pensiero riduzionista, tutto ciò che un essere vivente è, è scritto fin dal principio nei suoi geni.

Dopo il Duemila, i risultati del Progetto Genoma Umano – confermando importanti scoperte avvenute già negli anni ’80 – dimostrarono che la presunta corrispondenza univoca tra gene e proteina era falsa e che il DNA è molto più flessibile di quanto si pensava. Infatti si scoprì che da una stessa sequenza genica possono derivare tante proteine diverse, in funzione degli stimoli ambientali che raggiungono il DNA. Si trovò che i geni non funzionano isolati, ma formano reti “ecologiche” molto intricare, e che ogni singolo carattere deriva dalla interazione di molti geni. Inoltre si scoprì che il 98,5% del DNA, fino a quel momento ritenuto inutile spazzatura – junk DNA – produce piccoli RNA, che formano una rete epigenetica essenziale per regolare il funzionamento delle reti geniche del DNA.

Negli ultimi vent’anni si sono accumulate prove innumerevoli del fatto che l’ambiente regola il funzionamento del DNA. Queste scoperte hanno portato al continuo sviluppo della Epigenetica.

Che cos’è l’epigenetica

Il termine epigenetica, che significa letteralmente sopra la genetica, fu introdotto negli anni ’40 dall’embriologo e genetista Waddington, il quale dimostrò che i processi dello sviluppo sono molto influenzati dagli stimoli ambientali. Il dominio della genetica molecolare ha poi oscurato per decenni le idee di Waddington. Ma negli ultimi vent’anni, gli sviluppi tecnici nelle scienze -omiche (genomica, metabolomica, proteomica, ecc…) hanno consentito l’analisi simultanea di molte sequenze geniche dello stesso organismo. Con questi metodi si è definitivamente provato il ruolo cruciale dell’ambiente nel regolare attraverso ‘mutazioni epigenetiche’ lo sviluppo, l’adattamento e in generale il normale funzionamento di ogni organismo.

Con l’Epigenetica l’attenzione si sposta dalla sequenza di basi nel DNA alla cromatina, la complessa struttura formata dal DNA avvolto intorno a “rocchetti” di proteine che costituisce i cromosomi. La cromatina risponde agli stimoli ambientali con continui rimodellamenti, tramite l’aggiunta o la rimozione di piccoli gruppi chimici sul DNA.

Questi cambiamenti sono detti epigenetici perché non cambiano la sequenza delle basi nel DNA, ma la struttura tridimensionale della cromatina. Questa può essere organizzata in forma più o meno densa. Nelle regioni del DNA che devono essere attive, le spire della cromatina devono “aprirsi” perché l’informazione inscritta nelle sequenze geniche possa essere letta e tradotta in proteine. Le regioni di cromatina addensata restano invece silenti. Grazie a questi cambiamenti, i geni (= sequenze di DNA) funzionano in certi momenti, o in certe cellule, e in altri/e no, a seconda di quanto la cromatina è “aperta” e il DNA è quindi accessibile ai segnali dall’esterno.

Perciò la vita di un organismo dipende dall’incessante dinamismo di un sistema epi/genetico cellulare molto complesso, costituito dal DNA, da molti e diversi RNA e da molte proteine. Questi elementi generano una fitta rete interattiva, che media tra influenze ambientali e risposte adattive dell’organismo.

I cambiamenti epigenetici possiedono una proprietà unica, ancora al centro di numerosi studi: sono al tempo stesso reversibili ed ereditabili. La loro ereditabilità spiega ad esempio perché, durante lo sviluppo di un organismo umano, da un’unica cellula (l’uovo fecondato) possono formarsi trilioni di cellule molto differenti per forma e funzione (p.e. globuli rossi, cellule muscolari, neuroni ecc), nonostante possiedano tutte lo stesso DNA. Effetti di posizione, interazioni fra cellule e stimoli ambientali danno origine al quadro epigenetico specifico per ogni cellula: solo i geni necessari vengono attivati, gli altri sono ‘silenziati’. Ad ogni divisione cellulare, gli specifici quadri epigenetici vengono trasmessi alle cellule figlie, come una sorta di ‘memoria’ della loro funzione. L’ereditabilità dei quadri epigenetici spiega quindi perché la specializzazione dei differenti tipi cellulari nei diversi organi si mantiene costante durante tutta l’esistenza di un organismo. Molti studi inoltre dimostrano che i cambiamenti adattivi dei quadri epigenetici si possono trasmettere ai discendenti per diverse generazioni = l’adattamento è ereditabile.

Così come regola il normale funzionamento di un organismo, il sistema epi/genetico cellulare può anche causare patologie gravi, in caso di risposte disadattative croniche a stimoli ambientali nocivi. Ad esempio, numerosi studi hanno trovato che il diabete di tipo 2 e l’obesità sono caratterizzati da quadri epigenetici alterati in molti geni e in molti tessuti, con largo anticipo rispetto alla malattia conclamata. Inoltre si rivelano importantissime le alterazioni epigenetiche durante i primi 1000 giorni di vita, in particolare durante lo sviluppo embrionale degli organi. Se il feto resta esposto a sostanze che alterano a livello epigenetico il funzionamento del DNA, come i pesticidi e gli altri inquinanti, vi sono alte probabilità di alterazioni p.e. del neurosviluppo, che possono portare a un’aumentata frequenza di malattie come i disturbi dello spettro autistico anche a distanza di anni dalla nascita. La reversibilità delle alterazioni epigenetiche apre nuove possibilità di prevenzione e trattamento di molte malattie degenerative intervenendo su fattori ambientali, come dieta, stili di vita, stress e qualità dell’ambiente.

 

Prospettive future

L’epigenetica ha completamente cambiato la visione del DNA: da molecola abbastanza stabile, unica depositaria dell’informazione per costruire un organismo, a database flessibile, in continuo dialogo con tutto ciò che avviene dentro e fuori ogni singola cellula. Ma anche questo quadro, seppure infinitamente più complesso della teoria tradizionale ancora oggi sostenuta dalle biotecnologie applicative più miopi, si rivela a sua volta parziale alla luce delle ricerche di frontiera più recenti. Stanno infatti emergendo nuovi codici, nuovi linguaggi di natura bioelettrica finora ignoti. Con che tipi di linguaggio e di ‘processi decisionali’ interi collettivi cellulari comunicano e concordano le rispettive attività – e i relativi limiti spazio-temporali – per dare forma agli organi e all’intero corpo? Si profila un livello ulteriore di influenze epigenetiche sul DNA tutto da indagare.

Per una nuova narrazione del vivente

Nel nuovo scenario delineato dalle scoperte recenti, il DNA non detiene TUTTA l’informazione necessaria allo sviluppo e alla vita di un organismo. Piuttosto, nuova informazione SI GENERA di continuo nell’interazione del DNA con gli altri elementi del sistema epi/genetico cellulare e con tutti i fattori ambientali. L’organismo non è il mero prodotto di un programma già scritto fin dalla sua nascita, ma ha un ruolo attivo nel dare attuazione alle “istruzioni” del DNA, attraverso le proprie relazioni con l’ambiente nel senso più lato, anche sociale. Sono queste relazioni a plasmare l’organismo, con processi che l’evoluzione ha sedimentato attraverso 4 miliardi di anni di selezione naturale.

Sebbene a livello scientifico la visione DNA-centrica oggi sia di fatto messa in discussione sempre più spesso, essa continua a pervadere tutta la nostra cultura, dai media ai testi scolastici. Su questa generale ignoranza dei reali processi del vivente continuano a prosperare false narrazioni. Si continua a dire che “siamo quello che è scritto nel nostro DNA”. Si insiste a ignorare che la prevenzione legata a un ambiente libero da inquinanti è essenziale per qualsiasi discorso serio su salute (non solo umana) e politiche sanitarie. E si continua a sostenere un presunto “miglioramento genetico” di piante e animali, fondato unicamente sulla modifica in laboratorio della loro sequenza del DNA. La dottrina che come umani abbiamo il potere – e il diritto – di cercare d’indirizzare secondo i nostri fini (= il meglio) l’evoluzione di tutti i viventi (come bene esprime l’acronimo T.E.A, tecniche di evoluzione assistita) resta uno dei pilastri culturali, ideologici, dell’Antropocene – con tutte le conseguenze devastanti che vediamo.

I contadini sono da sempre portatori di una visione opposta al riduzionismo genetico. Ogni vivente, sia esso pianta, animale o seme, non viene considerato separato dal resto, né ”migliorabile” sulla base di criteri astratti, magari decisi nelle lontane stanze di una multinazionale in cerca solo di alti profitti. Il contadino sa perfettamente – perché lo cresce, lo osserva giorno per giorno e quindi lo conosce – che ogni vivente di cui si prende cura è il frutto delle sue particolari relazioni ecologiche, cioè dell’interazione con tutto ciò con cui viene a contatto. Quello che l’epigenetica oggi dimostra con i metodi più avanzati della scienza, il contadino lo sa da sempre.

Momento per momento tutto è in cosranre relazione con tutto. Come l’epigenetica dimostra – e come i contadini sanno bene – tutti i viventi sono immersi in un incessante movimento coevolutivo. Poiché è l’ambiente a dirigere l’orchestra dei geni e a pilotare i campi bioelettrici di ogni organismo, salvaguardare il fiorire della biodiversità e gli equilibri ecologici è il principio cardine per costruire una prospettiva realistica di futuro.

Proprio perché momento per momento l’equilibrio esistente in natura emerge da un caotico intrico di relazioni fra miriadi di esseri – dal micto- al macrocosmo – il percorso evolutivo delle specie non è né prevedibile né controllabile, a dispetto di quanto vorrebbe indurci a credere il termine T.E.A.

PER APPROFONDIRE:

Blog www.nuovabiologia.it

Video di conferenza divulgativa Prof. Ernesto Burgio: Epigenetica: come reagisce il nostro genoma alle trasformazioni ambientali 2022 https://www.youtube.com/watch?v=lZZlgAqgR9g

Video di conferenza per insegnanti Prof. Giuseppe Macino: Epigenetica ed i piccoli RNA – Accademia dei Lincei e Scuola Normale – 10/03/2014 https://www.youtube.com/watch?v=2kqBkDXOO7s