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Chi coltiverà e produrrà il cibo del futuro?

Hani Bseiso (doctor) amputated his 17-year-old niece’s leg with a kitchen knife in his home, using only the clothes on his back to stop the bleeding and dish soap to clean her wounds. “An Israeli tank missile hit her when she was on the sixth floor of our building,” Bseiso told CNN. “I didn’t know what to do. I didn’t have anesthesia or any kind of medication.”

“There was no anesthesia. My anesthesia was the Quran which I was reciting,” the niece, Ahed Bseiso, later told a journalist working with CNN in Gaza. The amputation, carried out on her uncle’s dining table, was filmed and shared widely on social media.

“He brought the kitchen knife and cut my leg off with it. And in that moment, I said praise be to God. Because he brought me patience.”

Medicines in Gaza began to run out shortly after the war erupted on October 7. Injuries from intensive bombardment skyrocketed while Israel stifled aid deliveries.

Qui l’articolo originale CNN World, 02-mar-2024

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Distruggere l’agricoltura per accelerare il genocidio

Secondo il Centro Satellitare delle Nazioni Unite (UNOSAT) e la FAO, a gennaio 2024 più di un terzo dei terreni agricoli a Gaza erano stati danneggiati dallo scoppio della guerra il 7 ottobre 2023. [International Food Policy Research Institute, 20/02/2024]Scrive Naomi Klein (stralci da Internazionale, num. 1558, Aprile 2024):

“La campagna di annientamento israeliana a Gaza non è il primo genocidio della storia moderna.

La cosa eccezionale, almeno dall’epoca del colonialismo, è la coesione che questa carneficina ha suscitato tra le élite politiche del nord del mondo, e in una certa misura anche al di là di queste.

In tutti gli schieramenti, dall’estrema destra rabbiosa al centrosinistra ipocrita, siamo di fronte a potenti che abbandonano le loro differenze per unirsi nell’appoggio a questi crimini contro l’umanità.

Lo stato ebraico si è modellato sulle leggi, le logiche e le pratiche coloniali razziste prese in prestito dalle precedenti epoche del colonialismo (forgiato dalle nostre nazioni).

Il messaggio della campagna israeliana è rivolto anche a tutti quelli che hanno benedetto l’aggressione. Il significato è semplice: le bolle dorate di sicurezza e lusso disseminate qua e là nel mondo saranno protette a ogni costo. Se necessario, anche con un genocidio.

Cos’altro dire? Forse solo questo: la guerra alla povertà è l’unica che vale la pena di combattere. O trasformeremo questa macchina della morte attraverso una ridistribuzione giusta della ricchezza, riportandola dentro limiti sostenibili dal pianeta, oppure questo incubo c’inghiottirà tutti.

Possiamo contare solo gli uni sugli altri. Possiamo fare affidamento solo sui nostri movimenti e sul potere che costruiamo insieme. Possiamo contare solo sulla nostra solidarietà, la nostra determinazione, la nostra volontà. E sull’impegno comune nei confronti del valore della vita. Con queste cose potremo costruire un mondo senza Iron dome. E conquistare la speranza”

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Tragico errore?

“When you talk about food and water, people don’t want a solution one week from now, one month from now. The solution has to be now.” (José Andrès, World Central Kitchen, 2024)

7 volontari di WCK assassinati da Istraele a Gaza, aprile 2024

il genocidio non è mai un errore

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Quali contadine e contadini per il futuro?

Vorremmo insegnare alle prossime generazioni il rispetto e la cura per la terra e per le creature che l’abitano.

Dovremmo trasmettergli i saperi e tramandargli le pratiche per una sana produzione e utilizzo dei cibi.

Ma come gli spiegheremo che abbiamo assistito in diretta alla devastazione di territori e di popoli (quasi sempre per avidità) senza averla saputa impedire?

Come ci giustificheremo per non aver saputo fermare la lucida crudeltà che spinge alla follia dei genocidi?

Ghassan Soleiman Abu-Sittah è un chirurgo plastico che ha lavorato negli ospedali di Gaza dopo il tragico ottobre 2023.

Nei suoi racconti parla dei bambini e delle bambine. Parla delle persone alle quali la nostra generazione dovrebbe trasmettere i valori con cui prendersi cura del mondo di domani.

I racconti di Abu-Sittah (come tanti altri) non lasciano alcuna possibilità di voltarsi dall’altra parte. Non si potrà più dire “non avevo capito la gravità di questa cosa”.

Gli ultimi giorni ad Al Shifa avevamo esaurito tutto. Amputavamo un braccio e poi davamo il paracetamolo: i pazienti morivano di dolore. Molte ferite si infettavano. Cercavamo di fare quello che potevamo per tenerle pulite. Ma non avevamo morfina né anestetici, come la ketamina. Eseguivamo procedure chirurgiche davvero dolorose senza anestesia, anche sui bambini. Un giorno ho dovuto pulire la ferita di una bambina di 9 anni. In medicina questa procedura la chiamiamo “sbrigliamento”, si tratta della rimozione del tessuto danneggiato o infetto: farlo senza anestesia è dolorosissimo. Ho le sue urla nel cuore. Lei urlava, suo padre piangeva, io lavoravo e intanto mi cadevano le lacrime, non riuscivo a frenarle. Aveva la febbre alta, le ferite da schegge erano piene di pus, se non avessimo agito subito sarebbe morta. Le rimuovevo parte dei tessuti, lei piangeva disperata, e io anche. È un atto barbarico farlo senza anestesia. Non so se oggi sia ancora viva, spero di sì. Questo mi fa impazzire.

Fonte: intervista su Corriere della Sera, 02/12/2023

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OHCHR: “raggiunta la soglia che indica che Israele ha commesso un genocidio”

Ground invasion and aerial bombardment have destroyed agricultural land, farms, crops, animals and fishing assets, gravely undermining people’s livelihoods, the environment and agricultural system.

Conclusion: “There are reasonable grounds to believe that the threshold indicating Israel’s commission of genocide is met.

Anatomy of a Genocide – Report of the Special Rapporteur on the situation of human rights in the Palestinian territories occupied since 1967, Francesca Albanese

Human Rights Council, Fifty-fifth session, 26 February–5 April 2024
Agenda item 7 – Human Rights situation in Palestine and other occupied Arab territories

Leggi qui il rapporto originale integrale.

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Mazin Qumsiyeh, biologo palestinese resistente

La Palestina non è mai stata un Paese povero e non aveva problemi strutturali o una carenza di risorse naturali. I palestinesi crescevano il loro cibo e lo esportavano: la maggior parte degli agrumi in Europa venivano importati dalla Palestina qualche anno fa. Siamo parte della mezzaluna fertile, dove gli esseri umani hanno sviluppato l’agricoltura. Poi, è arrivato il sionismo e ha portato povertà e pulizie etniche. Dei 13 milioni di palestinesi nel mondo, 7,5 sono rifugiati o sfollati”.

La colonizzazione ci ha preso 11 migliaia di miliardi di dollari di proprietà, fra case, terre ecc. Come i Bantu in Sudafrica, che erano dipendenti dall’economia sudafricana perché erano sotto assedio e non potevano produrre e importare il loro cibo, noi ora siamo nella stessa situazione. Israele guadagna 12 miliardi di dollari all’anno tenendo l’economia della Cisgiordania in ostaggio. E questa cifra non tiene conto del saccheggiamento delle risorse naturali: acqua, minerali del Mar Morto, petrolio e gas naturale sulla costa del Mediterraneo, in acque palestinesi. Anche escludendo le terre occupate nel 1948, il gas naturale nel Mediterraneo e nelle acque al largo della striscia di Gaza, che è stata occupata nel 1967.”

Tutte queste politiche violano le leggi internazionali.

Secondo Mazim Qumsiyeh la colonizzazione può finire in tre modi: con i colonizzatori che se ne vanno (come in Algeria), con il genocidio dei nativi (come nelle Americhe), o con la convivenza tra i discendenti dei colonizzatori e dei colonizzati.
Non c’è un quarto scenario.
Dividere un Paese fra colonizzatori e colonizzati non è un’opzione possibile, non è mai successo, non può succedere per tantissime ragioni.

Mazin Qumsiyeh è un biologo, scrittore e attivista non violento palestinese. Ha vissuto molti anni negli Stati Uniti, ha insegnato a Yale e alla Duke University, è tornato in Palestina nel 2008. È stato fondatore e tesoriere nazionale di Al-Awda, la Coalizione per il diritto di ritorno palestinese negli Stati Uniti. È stato presidente della Fondazione per la conservazione della Terra Santa e dell’Associazione mediorientale di genetica. Fondatore e Presidente del Museo di storia naturale della Palestina e dell’Istituto per la biodiversità e la sostenibilità all’Università di Betlemme.

I brani qui sopra vengono dall’intervista di Mazin Qumsiyeh a Irene Ivanaj che trovi qui completa in originale.

Qui in podcast l’intervista a Mazin Qumsiyeh per Stories di Cecilia Sala.

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Palestina

La terra non c’è più e nemmeno le contadine

Non è più questione di terre da coltivare.
Non è più questione di coltivare.
La terra non c’è più.

“la densità sarà di circa 62.500 persone per chilometro quadrato.

In un’area aperta, senza grattacieli per ospitare i rifugiati, senza acqua corrente, senza privacy, senza mezzi di sostentamento, ospedali o cliniche mediche, senza pannelli solari per caricare i telefoni, e tutto questo mentre le organizzazioni umanitarie dovranno attraversare o avvicinarsi alle zone in cui sono in corso i combattimenti per distribuire le piccole quantità di aiuti che entrano nella Striscia di Gaza.

Sembra che l’unico modo per contenere tutte queste persone in uno spazio così stretto è farle stare in piedi o in ginocchio.

Forse sarà necessario formare dei comitati che stabiliranno i turni per dormire: alcune migliaia di persone si sdraieranno mentre le altre resteranno sveglie.

Il ronzio dei droni, le grida dei neonati con le madri che non hanno latte o ne hanno poco saranno la snervante colonna sonora.”

Questo ci si aspetta a Rafah (nel sud della Striscia di Gaza al confine con l’Egitto) dove circa 1,4 milioni di palestinesi sono stati spinti e concentrati.

“chiunque resta in un’area destinata a un’invasione di terra non è considerato un civile innocente; non è considerato “non coinvolto”.

Chiunque rimane nella sua casa ed esce per andare a prendere l’acqua in una struttura cittadina ancora in funzione o in un pozzo privato, gli operatori sanitari chiamati a curare un paziente, una donna incinta che va a piedi in un ospedale vicino per partorire: tutti, come abbiamo visto durante la guerra e nelle campagne militari passate, sono criminali agli occhi dei soldati. Sparare e ucciderli è previsto dalle regole di ingaggio delle forze armate israeliane.

L’esercito sostiene di rispettare il diritto internazionale, perché questi individui sono stati avvertiti che devono andarsene”

Amira Hass è una giornalista israeliana. Vive a Ramallah, in Cisgiordania, e scrive per il quotidiano Haaretz.

Da Internazionale, n. 1550 del 16 febbraio 2024.

Leggi qui l’articolo completo in italiano su Internazionale

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L’Onu aggiorna l’elenco delle aziende che supportano l’occupazione israeliana

L’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite ha divulgato a fine giugno un aggiornamento del database delle imprese coinvolte in attività legate agli insediamenti nei Territori palestinesi occupati (Opt), inclusa Gerusalemme Est.

L’inchiesta dell’Onu ha l’obiettivo di approfondire le conseguenze sui diritti civili, politici, economici, sociali e culturali del popolo palestinese nei territori illegalmente occupati da Israele da oltre 50 anni, fortemente penalizzati dal rischio di conflitti e violenze e dalla sistematica violazione dei diritti umani.

L’idea di una lista di imprese presenti nei Territori è nata nel 2016 dall’iniziativa del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, per dare seguito al rapporto del 2013 della Missione di indagine indipendente sulle implicazioni degli insediamenti israeliani.
Secondo il diritto internazionale, infatti, tutti gli insediamenti nei Territori sono da considerarsi illegittimi e in aperto contrasto con le norme consuetudinarie e convenzionali; sebbene la creazione e l’espansione degli insediamenti nei territori occupati, nonché il trasferimento di popolazione civile da parte di Israele in questi territori, siano quindi contrari al diritto internazionale, il rapporto non vuole essere un avvertimento di carattere giudiziale o stragiudiziale, né sindacare sulla legalità delle attività di per sé, ma rispondere a un principio di trasparenza e dialogo con gli Stati

Scarica qui l’elenco aggiornato

Leggi qui l’articolo originale su Altreconomia

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Tecnologia per uccidere

Israele è uno dei principali produttori ed esportatori mondiali di armamenti (10° secondo ISPRA 2018-2022).

Probabilmente i territori occupati sono un ottimo terreno per sviluppare indisturbati le tecnologie, nonché una buona garanzia per i potenziali clienti che acquistano prodotti ben testati.

Ecco un esempio di drone nella duplice versione: militare (in versione chiamata “incruenta”) e civile (in versione “agricola”).

Per sterminare umano e non-umano direttamente dall’ufficio.

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Gaza: genocidio e inaccessibilità al cibo

Access to Food in Gaza: The Bleak Intersection of Genocide and Food Inaccessibility

Union of Agricultural Work Commitments (UAWC) Statement, 24 October 2023

The ongoing crisis in the Gaza Strip has reached alarming proportions, with its impact echoing far beyond its immediate geographic confines. At the core of this escalating disaster is the fundamental human right to food—a right that is now perilously under threat for the Palestinian residents of Gaza.

Historically, Gaza has been an epicenter of rich agricultural production, feeding not only its own residents but also serving as a vital food resource in the region. But the recent waves of Israeli aggression and sustained blockades have crippled this once-thriving sector. The disruption of essential imports, coupled with the inaccessibility to local farmlands due to conflict, has left the people of Gaza with dwindling food resources.

The severity of this situation cannot be understated. Without adequate food, residents face malnutrition, increased vulnerability to diseases, and a heightened mortality rate, especially among children and the elderly. The daily struggles of families trying to secure a single meal, with parents facing the heart-wrenching ordeal of seeing their children go hungry, are becoming the distressing norm.

Beyond the immediate physiological effects of food scarcity, there are profound psychological and societal implications. Chronic hunger breeds despair, intensifies trauma, and deepens socio-economic inequalities. In the broader spectrum, this crisis threatens to destabilize an already fragile region, with potential repercussions on a global scale.

Given the magnitude of this emergency, it is incumbent upon the international community to intervene promptly and robustly. A multifaceted approach is crucial—encompassing immediate relief efforts, sustained diplomatic interventions to restore peace, and long-term strategies to rejuvenate Gaza’s agricultural sector.

Inaction or delayed action will only serve to exacerbate an already grave situation. With each passing day, the humanitarian catastrophe inches closer to an irreversible tipping point. Hence, it is imperative that global powers, humanitarian organizations, and the broader international community rally together to prevent further degradation of life in Gaza and uphold the sacrosanct right to food for its people.

Leggi qui l’articolo originale:
https://viacampesina.org/en/access-to-food-in-gaza-the-bleak-intersection-of-genocide-and-food-inaccessibility/