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Terranuova 04/03/2024

Oltre 300 persone appartenenti a più di 90 organizzazioni contadine, ambientaliste, dei lavoratori, dell’economia solidale, dai movimenti per la giustizia climatica, dall’accademia e da collettivi autorganizzati hanno preso parte alla conferenza contadina “Cambiare il campo” che si è tenuta a Roma dall’1 al 3 marzo. Annunciate mobilitazioni in aprile e maggio.

 Organizzata da un collettivo promotore, con il supporto del Centro Internazionale Crocevia e il contributo dell’Agenda Ecologia di Unione Buddhista Italiana, la conferenza si è data l’obiettivo di mettere a confronto esperienze, bisogni e soluzioni dal basso per favorire la convergenza di attori che rappresentano un’alternativa già esistente ma sottovalutata al sistema agricolo industriale. «L’attuale modello, basato su monocolture, chimica di sintesi e ipermeccanizzazione, è responsabile della perdita di biodiversità agricola e alimentare, legato a logiche di standardizzazione e de-stagionalizzazione tipiche della grande distribuzione, corresponsabile della crisi climatica e della strutturale precarietà del lavoro bracciantile – spiegano i promotori, molto soddisfatti del successo ottenuto dall’iniziativa alla quale ha preso parte anche Terra Nuova – A questa visione, la conferenza contrappone la forza delle più avanzate pratiche ecologiche nella produzione del cibo, che fanno riferimento all’agroecologia e al concetto di sovranità alimentare coniato dai movimenti contadini internazionali. Queste esperienze sperimentano forme comunitarie e territoriali di economia sociale e solidale, di cura gli ecosistemi, dei diritti sociali e della biodiversità».

«L’Unione Buddhista Italiana ha sostenuto con convinzione la prima conferenza contadina, che ha visto una partecipazione straordinaria di persone che traducono l’ecologia profonda in azione quotidiana sui campi – spiega Silvia Francescon, responsabile dell’Agenda Ecologia di Unione Buddhista Italiana – Il nostro impegno è a fianco di chi incarna l’economia della cura: la cura della biodiversità e delle relazioni ecologiche, la cura di un lavoro che dà valore alla dignità delle persone e che promuove un’agricoltura estensiva, non intensiva, un’agricoltura che rigenera e non desertifica, che si fa custode di saperi, non di monocultura. In questi giorni abbiamo assistito a un desiderio di vicinanza delle persone e delle comunità contadine che si è già trasformato in convergenza su proposte concrete. Come Unione Buddhista Italiana rinnoviamo l’impegno a sostenerle e a continuare a diffondere la cultura dell’agroecologia anche attraverso le scuole contadine che sono al centro della nostra azione di cura».

L’impegno emerso dalla tre giorni è quello di «concretizzare la convergenza dei tanti attori del cambiamento verso un’assemblea permanente delle realtà organizzate, capace di azioni concrete e capaci di incarnare una narrazione e un modello diverso, volto a rispondere alle sfide della crisi climatica, economica e di democrazia che oggi attanagliano il nostro paese e il pianeta in generale» spiegano i promotori.

«In questi ultimi mesi abbiamo visto un’accelerazione da parte dei gruppi di interesse dell’agroindustria per far fallire le spinte verso una transizione dell’agricoltura – dice Stefano Mori, coordinatore del Centro Internazionale Crocevia – Per questo è stato importante sostenere l’incontro di tutte le realtà che in Italia realizzano ogni giorno una visione diversa. La conferenza contadina è un primo passo per dimostrare che l’alternativa non è solo possibile, ma è già in atto. Il processo di convergenza verso forme di coordinamento nazionale tra queste esperienze è ciò che serve per mostrare che non si tratta di esperienze singole e atomizzate, ma di attori del cambiamento con la volontà di modificare gli attuali rapporti di forza».

La prima proposta è già in campo, uscita dalla tre giorni come una priorità del mondo contadino: una mobilitazione nazionale per fermare la deregolamentazione dei nuovi OGM in Italia e in Europa. Tra il 25 aprile e il 1° maggio gli attori della convergenza si mobiliteranno sui territori «per far sentire la voce di chi difende il principio di precauzione, rifiuta la contaminazione delle proprie colture ad opera di organismi geneticamente modificati e brevettati dalle grandi imprese e vuole mantenere etichettatura e tracciabilità per garantire la libera scelta ai consumatori. Il 25 maggio si prevede una seconda tappa della campagna contro la liberalizzazione dei nuovi OGM, con una manifestazione nazionale a Roma. A partire da questi primi appuntamenti, il movimento per la convergenza agroecologica e sociale continuerà il suo lavoro di tessitura e allargamento, per convogliare la ricchezza della diversità degli approcci in una voce organica e capace di fare da contraltare a quella dominante».

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Dicono di noi

Comune-info 24/02/2024

Il loro punto di partenza è un rifiuto: un grido contro le politiche e le narrazioni che sostengono la mercificazione e l’industrializzazione del cibo. Ma quel “No!” abbraccia anche la spinta verso un mondo diverso, che possiamo creare, dicono, qui e ora. Non ci sono forze da accumulare per un domani migliore: possiamo far emergere adesso, ad esempio, le diverse alternative agroecologiche al sistema alimentare industriale. Possiamo farlo perché quelle alternative, con inevitabili limiti, esistono già. Nel promuovere tre giorni di incontri “Cambiare il campo” a Roma (1-3 marzo), il Collettivo per una Convergenza Agroecologica e Sociale, tra l’altro, scrive: “Guardiamo e ci ispiriamo ai movimenti contadini e indigeni, alle lotte contro l’estrattivismo, alle alternative agroecologiche che, ad ogni latitudine, resistono e provano ad affermarsi…”

Dal 1 al 3 marzo si terrà a Roma “Cambiare il Campo”, una grande conferenza contadina in dialogo con i movimenti sociali ed ecologisti (qui programma). Si tratta di un evento che mette all’ordine del giorno la necessità di convergenza tra coloro che vogliono far emergere e rafforzare delle alternative agroecologiche al sistema alimentare industriale. L’abbiamo immaginata come una prima tappa nella costruzione di spazi di iniziativa comune tra realtà rurali e contadine,
esperienze di economia solidale, reti alimentari locali, mondo della ricerca, movimenti sociali e per la giustizia climatica.

Il percorso che porta alla conferenza nasce da persone con storie diverse che insieme hanno partecipato alla costruzione della manifestazione “Convergere per insorgere” del 22 ottobre 2022 a Bologna, convocata dagli operai in mobilitazione della fabbrica GKN di Firenze. In quel contesto abbiamo attraversato, con lo sguardo di chi si batte per l’agroecologia e la sovranità alimentare, un primo importante momento di convergenza tra tante realtà che lottano per una radicale trasformazione della società e dell’economia.

Non volevamo disperdere quel prezioso patrimonio di relazioni e di riflessioni e abbiamo quindi deciso di creare le condizioni per ulteriori momenti di confronto e iniziativa. Così è nato il Collettivo per una Convergenza Agroecologica e Sociale, il cui obiettivo prioritario è proprio quello di organizzare la conferenza di marzo. Da diversi mesi stiamo lavorando alla preparazione di questo evento e nel frattempo il collettivo si è ulteriormente ampliato.

Perché una conferenza contadina? Terra, agricoltura e alimentazione rappresentano oggi questioni di grande rilevanza politica. Il sistema alimentare industriale è ormai ampiamente riconosciuto come corresponsabile dei profondi squilibri socio-ecologici che affliggono il nostro tempo. La sua sete di profitto produce una strutturale dipendenza dai combustibili fossili e una folle caccia alle risorse. Monocolture, allevamenti intensivi, appropriazione privata delle risorse genetiche e brevetti sui semi sono solo alcune delle facce che questo modello distruttivo può assumere. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: cambiamento climatico, distruzione dei territori, erosione della biodiversità e sfruttamento di lavoratrici e lavoratori, cibo che anziché nutrire danneggia la salute di chi lo consuma.

D’altra parte, però, esistono già delle alternative praticabili. Il contesto italiano è particolarmente vivace da questo punto di vista. Sparso nei territori, infatti, esiste – e resiste – un fitto reticolo di associazioni, realtà rurali, cooperative, associazioni, reti di economia solidale e sindacati che prova a mettere in atto delle alternative concrete al complesso
industriale del cibo, contestandone in modo più o meno esplicito la logica di funzionamento. Queste esperienze mettono in primo piano la necessità di una radicale trasformazione del sistema alimentare. Esse appaiono, di conseguenza, come tassello fondamentale della possibile transizione a un sistema economico e sociale più giusto ed in grado di rispondere efficacemente alla crisi eco-climatica.

Nonostante queste resistenze, però, i processi di industrializzazione dell’agricoltura e del cibo non sembrano in alcun modo arrestarsi. I dati dell’ultimo censimento dell’agricoltura sono impietosi. Il numero di aziende agricole continua a ridursi (negli ultimi vent’anni è più che dimezzato), mentre la loro dimensione aumenta, segno di una forte tendenza alla concentrazione. Il ricambio generazionale è fermo e l’accesso alla terra, soprattutto per i più giovani, è sempre più un miraggio.

Ad essere minate sono le basi stesse di una transizione verso un modello agroecologico che, senza contadini, non è nemmeno immaginabile. Le politiche pubbliche, a tutti i livelli di scala, sostengono attivamente – e finanziano – il consolidamento di queste tendenze, favorendo le unità produttive a più alta intensità di capitale, i grandi gruppi industriali e la GDO. Il tutto occultato da narrazioni tecnocentriche esplicitamente orientate al greenwashing e alla cooptazione selettiva di idee e istanze nate dal basso. L’agricoltura industriale prova così a tingersi di un verde sbiadito, diventando “di precisione” o “climaticamente intelligente”; biotecnologie e OGM di nuova generazione promettono di risolvere in modo miracoloso e in un battito di ciglia tutte le contraddizioni del sistema senza cambiare di una virgola il sistema stesso; la peggior destra arriva persino ad appropriarsi dell’espressione “sovranità alimentare”, patrimonio prezioso dei movimenti contadini transnazionali, istituendo un ministero che porta questo nome.

È evidente la presenza il conflitto in atto tra due prospettive molto diverse ed è chiaro che dobbiamo attrezzarci per riuscire a reggere questo confronto.

Sentiamo quindi la necessità, proprio a partire dai semi di cambiamento che le reti associative, i movimenti e le esperienze diffuse nei territori hanno gettato, di costruire un percorso di ricomposizione e organizzazione.
Serve più che mai una voce collettiva forte e indipendente che faccia propria la battaglia per una radicale trasformazione del sistema alimentare; che metta in discussione le politiche e le narrazioni
che sostengono attivamente la mercificazione e l’industrializzazione del cibo; che faccia emergere e rafforzi le alternative basate sull’agroecologia e sulla sovranità alimentare.

L’idea, dunque, è quella di costruire un percorso che parta dai territori in cui viviamo ma, allo stesso tempo, con lo sguardo rivolto al mondo. Guardiamo e ci ispiriamo ai movimenti contadini e indigeni, alle lotte contro l’estrattivismo, alle alternative agroecologiche che, ad ogni latitudine, resistono e provano ad affermarsi. Ma, in questo momento, il nostro pensiero è anche rivolto a ciò che sta accadendo a Gaza, dove la violenza devastatrice della guerra sta lasciando solo macerie e annichilendo la vita di un popolo in quanto tale. In quell’area si celebra con un massacro l’atto conclusivo di un lungo processo di spossessamento di terra e risorse a spese dei e delle palestinesi. La prospettiva di cambiamento che vogliamo darci non può prescindere dalla solidarietà nei loro confronti. Ed è con questo spirito che invitiamo coloro che si riconoscono in questo bisogno di profondo cambiamento a partecipare all’incontro di Roma del prossimo 1-2-3 marzo.

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Attualità

Il trattoRE è nudo – dalla Comunità di Resistenza Contadina Jerome Laronze

A proposito delle proteste degli agricoltori

Noi contadini e contadine della rete fiorentina di Genuino Clandestino stiamo osservando fin dal suo inizio questo importante momento di lotta, agito e provocato dagli attori principali del sistema industriale della produzione del cibo.

Non è stato semplice prendere una posizione in merito a gli eventi che in questo inverno caldo stanno attraversando gran parte delle città europee. Ormai da settimane gli agricoltori sono scesi in strada con i propri trattori per protestare contro le politiche stringenti che colpiscono il primo settore, quello della produzione del cibo; questi imprenditori agricoli, così definiti per legge, si ribellano alle imposizioni di un complesso di leggi e regolamenti e ad un altrettanto complesso sistema di incentivazione (la PAC su tutto) nella sua ultima versione (2023-2027), che accusano come penalizzanti nei loro confronti.

Tali misure si inseriscono nel solco della cosiddetta “transizione ecologica”, formula ormai ambigua e oltremodo abusata, per tendere verso una più “sostenibile” modalità di produzione del cibo, innescando un braccio di ferro con gli attori primari della filiera. Proteste spesso accompagnate e sostenute da cittadini che in modo più o meno strutturato e consapevole si sentono in balia di un sistema di cui non si fidano più, e che sentono anche di dovere contrastare, disertare, sovvertire.

Da una parte quindi il mondo della produzione del cibo convenzionale (gli imprenditori agricoli), quindi un modello industriale, energivoro, tossico e petrolifero, dipendente da input chimici e da spietati meccanismi finanziari capitalisti e neoliberisti (dinamiche globali di mercato regolate dai trattati sovranazionali).

Dall’altra il Parlamento Europeo e le organizzazioni interne degli stati membri, che sistematicamente hanno prodotto regolamenti e incentivazioni economiche producenti esattamente l’opposto delle finalità dichiarate nei decenni scorsi. La classe politica responsabile dell’attuale sfacelo sociale ed ambientale diventa improvvisamente “green” ed impone la presunta transizione scaricando totalmente i costi su soggetti già gravati da decenni di politiche che hanno teso a salvaguardare gli interessi delle multinazionali finanziarie, della produzione delle sementi, della chimica e delle biotecnologie, nonché del settore industriale della metalmeccanica .

Tutto fa pensare che l’attuale crisi del sistema darà luogo ad una transizione che vedrà imporsi la digitalizzazione e la manipolazione genetica come soluzione alle problematiche produttive ed ambientali, ovvero quell’agricoltura 4.0 detta “di precisione” e propagandata come “innovazione sostenibile”, ripetendo all’infinito l’inganno della rivoluzione verde prima e della green-economy poi.

All’interno di questo contraddittorio contesto, in cui l’argomento della produzione del cibo è diventato finalmente centrale nel dibattito pubblico, sentiamo il bisogno di prenderci uno spazio per rompere il dualismo di posizioni descritto in precedenza, restituendo significato al ruolo delle contadine e del loro lavoro.

Premesso che ogni rivolta, per noi, è da accogliere con simpatia e da comprendere a fondo, non difendiamo né offendiamo nessuna delle due parti: ci sentiamo completamente fuori da questa partita, semplicemente perché il campo su cui la si vuole disputare non è il nostro campo.

Essere contadine significa infatti prendersi cura della terra, saperla comprendere come parte integrante di un sistema articolato e interdipendente; significa intendere l’agro-ecosistema come un complesso di relazioni tra viventi, e non come spazio inerte da manipolare e sfruttare adottando l’una o l’altra tecnologia. La pratica quotidiana dell’agricoltura agro-ecologica ci pone completamente su un altro piano: le considerazioni sul modello agricolo da adottare e difendere non hanno basi meramente economiche, né sono legate ad interessi particolari e corporativi. Ciò che conta, per noi, è produrre cibo sano e di qualità, da distribuire il più possibile sul territorio, senza sfruttamento dell’umano sull’umano e dell’umano sull’ambiente, garantendo quindi la conservazione degli agro-ecosistemi senza depauperarne le risorse.

Ci stanno strette quindi analisi semplicistiche tra agricoltori “cattivi” e istituzioni “buone” e viceversa, così come l’appiattimento del dibattito pubblico su una dicotomia che relega la scelta tra la padella e la brace; per questo motivo abbiamo stilato alcuni punti che rappresentano alcuni capisaldi della nostra visione.

I nostri punti

  • Molte accreditate analisi e stime confermano il dato sull’importanza determinante della produzione industriale del cibo come fonte di inquinamento e ingiustizia sociale; pertanto non può esistere una vera e reale transizione ecologica senza promuovere e praticare la produzione locale e agro-ecologica del cibo.
  • Praticare agricoltura agro-ecologica vuol dire produrre cibo attraverso la costruzione di agro-ecosistemi sostenibili. La sostenibilità non riguarda soltanto le pratiche agricole, ma anche i rapporti esistenti nella componente umana che le mette in atto. Nello specifico questo significa eliminare ogni tipologia di sfruttamento del lavoro.
  • Avere consapevolezza che noi e il pianeta siamo la stessa cosa: avvelenando gli ecosistemi, alterando gli equilibri climatici e ambientali, bruciando le foreste, dirottando i corsi d’acqua, depauperando i suoli, distruggiamo noi stesse. Dobbiamo pertanto sostenere le pratiche che contrastano la devastazione dei territori e la loro messa a profitto.
  • L’ecologia imposta dall’alto, attraverso strumenti legislativi contraddittori e rispondenti ad interessi molteplici, non è applicabile e spesso risulta controproducente. È necessario viceversa valorizzare ciò che viene dal basso, dalle pratiche quotidiane, dalle dinamiche che definiscono le comunità agro-ecologiche. Attribuire le responsabilità dell’inquinamento e della distruzione dell’ambiente ai singoli è riduttivo e talvolta fuorviante: le colpe sono da ricercare nel sistema di produzione capitalista e in chi lo promuove.
  • Favorire la produzione locale su piccola scala, stimolando la presa in carico della produzione di cibo da parte delle comunità locali laddove possibile. In un’ottica più vasta, ciò si traduce nel tentativo di disegnare un diverso equilibrio tra città “consumatrice” e campagna “produttrice”, rafforzando quegli strumenti (mercati contadini, GAS, CSA, ecc.) che creano legami all’interno della filiera che riescono ad andare oltre il mero commercio.
  • Incentivare l’accesso alla terra e l’avviamento di attività contadine anche a chi non possiede adeguati strumenti economici, attraverso forme di credito comunitario e mettendo a disposizione i terreni incolti pubblici e privati. Oltre a rappresentare una dignitosa e sostenibile scelta professionale e di vita, l’incremento di numero degli addetti alla produzione agricola è necessario a rendere praticabile su scala più ampia il modello agro-ecologico, e quindi a rigettare un’agricoltura basata non sull’umano ma su meccanizzazione, automazione e input esterni.
  • Promuovere lo scambio e la custodia dei saperi tradizionali, la riproduzione dei semi e la condivisione comunitaria degli strumenti, nell’ottica di conservare e salvaguardare un certo grado di indipendenza rispetto alla messa a profitto del vivente e alla gestione verticistica di risorse e mezzi di produzione.
  • Favorire le pratiche agricole che conservano la fertilità dei suoli e il contenimento di patogeni ed infestanti senza l’utilizzo di input chimici. Chiudere il ciclo della materia all’interno dell’agro-ecosistema per quanto possibile, così come la messa al bando della monocoltura e la corretta esecuzione delle rotazioni colturali, sono solo alcune delle pratiche che consentono di rendere veramente sostenibile la produzione del cibo.
  • Combattere ogni forma di manipolazione genetica come i cosiddetti nuovi OGM (TEA); ciò per limitare i potenziali squilibri derivanti dalla loro immissione nell’ambiente, per contrastare il business della fornitura della sementi gestita da pochi colossi a livello mondiale e infine per smontare la narrazione che vede in questo tipo di tecnologia la risposta più efficace alle alterazioni dovute ai cambiamenti climatici, senza in questo modo tirarne in ballo le cause.
  • Smettere di equiparare i contadini con l’agro-industria a livello normativo, igienico in particolare. L’adozione degli accorgimenti previsti per legge è in moltissimi casi inutile e troppo costosa per attività il cui volume economico è molto limitato ed in cui la salubrità dei prodotti è garantita in tutt’altra maniera. Sostituire ad essa un sistema di autocontrollo partecipato gestito dalle comunità locali è necessario e già praticato all’interno dei circuiti di molte comunità contadine.

Comunicato della Comunità di Resistenza Contadina Jerome Laronze, rete fiorentina di Genuino Clandestino

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Palestina

La terra non c’è più e nemmeno le contadine

Non è più questione di terre da coltivare.
Non è più questione di coltivare.
La terra non c’è più.

“la densità sarà di circa 62.500 persone per chilometro quadrato.

In un’area aperta, senza grattacieli per ospitare i rifugiati, senza acqua corrente, senza privacy, senza mezzi di sostentamento, ospedali o cliniche mediche, senza pannelli solari per caricare i telefoni, e tutto questo mentre le organizzazioni umanitarie dovranno attraversare o avvicinarsi alle zone in cui sono in corso i combattimenti per distribuire le piccole quantità di aiuti che entrano nella Striscia di Gaza.

Sembra che l’unico modo per contenere tutte queste persone in uno spazio così stretto è farle stare in piedi o in ginocchio.

Forse sarà necessario formare dei comitati che stabiliranno i turni per dormire: alcune migliaia di persone si sdraieranno mentre le altre resteranno sveglie.

Il ronzio dei droni, le grida dei neonati con le madri che non hanno latte o ne hanno poco saranno la snervante colonna sonora.”

Questo ci si aspetta a Rafah (nel sud della Striscia di Gaza al confine con l’Egitto) dove circa 1,4 milioni di palestinesi sono stati spinti e concentrati.

“chiunque resta in un’area destinata a un’invasione di terra non è considerato un civile innocente; non è considerato “non coinvolto”.

Chiunque rimane nella sua casa ed esce per andare a prendere l’acqua in una struttura cittadina ancora in funzione o in un pozzo privato, gli operatori sanitari chiamati a curare un paziente, una donna incinta che va a piedi in un ospedale vicino per partorire: tutti, come abbiamo visto durante la guerra e nelle campagne militari passate, sono criminali agli occhi dei soldati. Sparare e ucciderli è previsto dalle regole di ingaggio delle forze armate israeliane.

L’esercito sostiene di rispettare il diritto internazionale, perché questi individui sono stati avvertiti che devono andarsene”

Amira Hass è una giornalista israeliana. Vive a Ramallah, in Cisgiordania, e scrive per il quotidiano Haaretz.

Da Internazionale, n. 1550 del 16 febbraio 2024.

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Attualità

Epigenetica – Daniela Conti

EPIGENERTICA: NON DAL SOLO DNA E’ FATTO UN ORGANISMO

di Daniela Conti

SOMMARIO: Nell’eseguire le istruzioni inscritto nelle sue sequenze, il DNA NON è autonomo dalle influenze esterne, come sostiene il paradigma DNA-centrico che ancora domina la nostra cultura. E’ vero, piuttosto, che il funzionamento del DNA si adatta costantemente agli stimoli ambientali e cambia in loro funzione.

Dalla genetica molecolare all’epigenetica

A partire dal 1953, anno in cui Watson e Crick proposero la struttura a doppia elica del DNA, la Genetica subì una radicale trasformazione: una nuova epoca ebbe inizio, l’epoca della Genetica molecolare. Dal metodo fondato su incroci e selezione che aveva caratterizzato la genetica fin dalle sue origini nell’Ottocento, l’attenzione si spostò sulle proprietà chimico-fisiche della molecola del DNA, da poco individuata come il veicolo della trasmissione ereditaria dei caratteri. Per tutti gli anni ’50 e ’60 fu un susseguirsi di grandi scoperte, dal decifrare il codice genetico allo scoprire i processi dell’espressione genica, che portano dal DNA alle proteine (= i caratteri di un organismo). Questo percorso culminò nei primi anni ’70 con la nascita dell’Ingegneria genetica. Le nuove tecniche consentivano di costruire in laboratorio DNA ricombinanti legando insieme sequenze di specie diverse. Ciò diede straordinario impulso alla genetica molecolare, ulteriormente accelerato negli anni ’80 dall’introduzione del brevetto sulle sequenze di DNA. Accentuando la dipendenza delle tecmologie genetiche da logiche di profitto industriale e di mercato, il brevetto aggravò l’impostazione riduzionista e deterministica della giovane disciplina molecolare. La genetica classica, con i suoi pazienti incroci e la sua costante attenzione all’influenza dell’ambiente sullo sviluppo, fu relegata a un ruolo secondario, con scarsi finanziamenti e poca o nulla visibilità mediatica (= possibilità di influenza culturale).

Fino agli inizi del Duemila, la Genetica molecolare è stata dominata dal Dogma Centrale proposto da Crick: l’informazione genetica fluisce in un’unica direzione, dal DNA all’RNA alle proteine (le quali danno forma ai caratteri), e mai nella direzione opposta. Secondo il paradigma gene-centrico basato sul Dogma Centrale, il DNA funziona in modo autonomo, isolato da ogni influenza esterna. Le sequenze geniche determinano rigidamente i caratteri di ogni organismo, attraverso la produzione di singole proteine. Nel pensiero riduzionista, tutto ciò che un essere vivente è, è scritto fin dal principio nei suoi geni.

Dopo il Duemila, i risultati del Progetto Genoma Umano – confermando importanti scoperte avvenute già negli anni ’80 – dimostrarono che la presunta corrispondenza univoca tra gene e proteina era falsa e che il DNA è molto più flessibile di quanto si pensava. Infatti si scoprì che da una stessa sequenza genica possono derivare tante proteine diverse, in funzione degli stimoli ambientali che raggiungono il DNA. Si trovò che i geni non funzionano isolati, ma formano reti “ecologiche” molto intricare, e che ogni singolo carattere deriva dalla interazione di molti geni. Inoltre si scoprì che il 98,5% del DNA, fino a quel momento ritenuto inutile spazzatura – junk DNA – produce piccoli RNA, che formano una rete epigenetica essenziale per regolare il funzionamento delle reti geniche del DNA.

Negli ultimi vent’anni si sono accumulate prove innumerevoli del fatto che l’ambiente regola il funzionamento del DNA. Queste scoperte hanno portato al continuo sviluppo della Epigenetica.

Che cos’è l’epigenetica

Il termine epigenetica, che significa letteralmente sopra la genetica, fu introdotto negli anni ’40 dall’embriologo e genetista Waddington, il quale dimostrò che i processi dello sviluppo sono molto influenzati dagli stimoli ambientali. Il dominio della genetica molecolare ha poi oscurato per decenni le idee di Waddington. Ma negli ultimi vent’anni, gli sviluppi tecnici nelle scienze -omiche (genomica, metabolomica, proteomica, ecc…) hanno consentito l’analisi simultanea di molte sequenze geniche dello stesso organismo. Con questi metodi si è definitivamente provato il ruolo cruciale dell’ambiente nel regolare attraverso ‘mutazioni epigenetiche’ lo sviluppo, l’adattamento e in generale il normale funzionamento di ogni organismo.

Con l’Epigenetica l’attenzione si sposta dalla sequenza di basi nel DNA alla cromatina, la complessa struttura formata dal DNA avvolto intorno a “rocchetti” di proteine che costituisce i cromosomi. La cromatina risponde agli stimoli ambientali con continui rimodellamenti, tramite l’aggiunta o la rimozione di piccoli gruppi chimici sul DNA.

Questi cambiamenti sono detti epigenetici perché non cambiano la sequenza delle basi nel DNA, ma la struttura tridimensionale della cromatina. Questa può essere organizzata in forma più o meno densa. Nelle regioni del DNA che devono essere attive, le spire della cromatina devono “aprirsi” perché l’informazione inscritta nelle sequenze geniche possa essere letta e tradotta in proteine. Le regioni di cromatina addensata restano invece silenti. Grazie a questi cambiamenti, i geni (= sequenze di DNA) funzionano in certi momenti, o in certe cellule, e in altri/e no, a seconda di quanto la cromatina è “aperta” e il DNA è quindi accessibile ai segnali dall’esterno.

Perciò la vita di un organismo dipende dall’incessante dinamismo di un sistema epi/genetico cellulare molto complesso, costituito dal DNA, da molti e diversi RNA e da molte proteine. Questi elementi generano una fitta rete interattiva, che media tra influenze ambientali e risposte adattive dell’organismo.

I cambiamenti epigenetici possiedono una proprietà unica, ancora al centro di numerosi studi: sono al tempo stesso reversibili ed ereditabili. La loro ereditabilità spiega ad esempio perché, durante lo sviluppo di un organismo umano, da un’unica cellula (l’uovo fecondato) possono formarsi trilioni di cellule molto differenti per forma e funzione (p.e. globuli rossi, cellule muscolari, neuroni ecc), nonostante possiedano tutte lo stesso DNA. Effetti di posizione, interazioni fra cellule e stimoli ambientali danno origine al quadro epigenetico specifico per ogni cellula: solo i geni necessari vengono attivati, gli altri sono ‘silenziati’. Ad ogni divisione cellulare, gli specifici quadri epigenetici vengono trasmessi alle cellule figlie, come una sorta di ‘memoria’ della loro funzione. L’ereditabilità dei quadri epigenetici spiega quindi perché la specializzazione dei differenti tipi cellulari nei diversi organi si mantiene costante durante tutta l’esistenza di un organismo. Molti studi inoltre dimostrano che i cambiamenti adattivi dei quadri epigenetici si possono trasmettere ai discendenti per diverse generazioni = l’adattamento è ereditabile.

Così come regola il normale funzionamento di un organismo, il sistema epi/genetico cellulare può anche causare patologie gravi, in caso di risposte disadattative croniche a stimoli ambientali nocivi. Ad esempio, numerosi studi hanno trovato che il diabete di tipo 2 e l’obesità sono caratterizzati da quadri epigenetici alterati in molti geni e in molti tessuti, con largo anticipo rispetto alla malattia conclamata. Inoltre si rivelano importantissime le alterazioni epigenetiche durante i primi 1000 giorni di vita, in particolare durante lo sviluppo embrionale degli organi. Se il feto resta esposto a sostanze che alterano a livello epigenetico il funzionamento del DNA, come i pesticidi e gli altri inquinanti, vi sono alte probabilità di alterazioni p.e. del neurosviluppo, che possono portare a un’aumentata frequenza di malattie come i disturbi dello spettro autistico anche a distanza di anni dalla nascita. La reversibilità delle alterazioni epigenetiche apre nuove possibilità di prevenzione e trattamento di molte malattie degenerative intervenendo su fattori ambientali, come dieta, stili di vita, stress e qualità dell’ambiente.

 

Prospettive future

L’epigenetica ha completamente cambiato la visione del DNA: da molecola abbastanza stabile, unica depositaria dell’informazione per costruire un organismo, a database flessibile, in continuo dialogo con tutto ciò che avviene dentro e fuori ogni singola cellula. Ma anche questo quadro, seppure infinitamente più complesso della teoria tradizionale ancora oggi sostenuta dalle biotecnologie applicative più miopi, si rivela a sua volta parziale alla luce delle ricerche di frontiera più recenti. Stanno infatti emergendo nuovi codici, nuovi linguaggi di natura bioelettrica finora ignoti. Con che tipi di linguaggio e di ‘processi decisionali’ interi collettivi cellulari comunicano e concordano le rispettive attività – e i relativi limiti spazio-temporali – per dare forma agli organi e all’intero corpo? Si profila un livello ulteriore di influenze epigenetiche sul DNA tutto da indagare.

Per una nuova narrazione del vivente

Nel nuovo scenario delineato dalle scoperte recenti, il DNA non detiene TUTTA l’informazione necessaria allo sviluppo e alla vita di un organismo. Piuttosto, nuova informazione SI GENERA di continuo nell’interazione del DNA con gli altri elementi del sistema epi/genetico cellulare e con tutti i fattori ambientali. L’organismo non è il mero prodotto di un programma già scritto fin dalla sua nascita, ma ha un ruolo attivo nel dare attuazione alle “istruzioni” del DNA, attraverso le proprie relazioni con l’ambiente nel senso più lato, anche sociale. Sono queste relazioni a plasmare l’organismo, con processi che l’evoluzione ha sedimentato attraverso 4 miliardi di anni di selezione naturale.

Sebbene a livello scientifico la visione DNA-centrica oggi sia di fatto messa in discussione sempre più spesso, essa continua a pervadere tutta la nostra cultura, dai media ai testi scolastici. Su questa generale ignoranza dei reali processi del vivente continuano a prosperare false narrazioni. Si continua a dire che “siamo quello che è scritto nel nostro DNA”. Si insiste a ignorare che la prevenzione legata a un ambiente libero da inquinanti è essenziale per qualsiasi discorso serio su salute (non solo umana) e politiche sanitarie. E si continua a sostenere un presunto “miglioramento genetico” di piante e animali, fondato unicamente sulla modifica in laboratorio della loro sequenza del DNA. La dottrina che come umani abbiamo il potere – e il diritto – di cercare d’indirizzare secondo i nostri fini (= il meglio) l’evoluzione di tutti i viventi (come bene esprime l’acronimo T.E.A, tecniche di evoluzione assistita) resta uno dei pilastri culturali, ideologici, dell’Antropocene – con tutte le conseguenze devastanti che vediamo.

I contadini sono da sempre portatori di una visione opposta al riduzionismo genetico. Ogni vivente, sia esso pianta, animale o seme, non viene considerato separato dal resto, né ”migliorabile” sulla base di criteri astratti, magari decisi nelle lontane stanze di una multinazionale in cerca solo di alti profitti. Il contadino sa perfettamente – perché lo cresce, lo osserva giorno per giorno e quindi lo conosce – che ogni vivente di cui si prende cura è il frutto delle sue particolari relazioni ecologiche, cioè dell’interazione con tutto ciò con cui viene a contatto. Quello che l’epigenetica oggi dimostra con i metodi più avanzati della scienza, il contadino lo sa da sempre.

Momento per momento tutto è in cosranre relazione con tutto. Come l’epigenetica dimostra – e come i contadini sanno bene – tutti i viventi sono immersi in un incessante movimento coevolutivo. Poiché è l’ambiente a dirigere l’orchestra dei geni e a pilotare i campi bioelettrici di ogni organismo, salvaguardare il fiorire della biodiversità e gli equilibri ecologici è il principio cardine per costruire una prospettiva realistica di futuro.

Proprio perché momento per momento l’equilibrio esistente in natura emerge da un caotico intrico di relazioni fra miriadi di esseri – dal micto- al macrocosmo – il percorso evolutivo delle specie non è né prevedibile né controllabile, a dispetto di quanto vorrebbe indurci a credere il termine T.E.A.

PER APPROFONDIRE:

Blog www.nuovabiologia.it

Video di conferenza divulgativa Prof. Ernesto Burgio: Epigenetica: come reagisce il nostro genoma alle trasformazioni ambientali 2022 https://www.youtube.com/watch?v=lZZlgAqgR9g

Video di conferenza per insegnanti Prof. Giuseppe Macino: Epigenetica ed i piccoli RNA – Accademia dei Lincei e Scuola Normale – 10/03/2014 https://www.youtube.com/watch?v=2kqBkDXOO7s

 

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Palestina

L’Onu aggiorna l’elenco delle aziende che supportano l’occupazione israeliana

L’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite ha divulgato a fine giugno un aggiornamento del database delle imprese coinvolte in attività legate agli insediamenti nei Territori palestinesi occupati (Opt), inclusa Gerusalemme Est.

L’inchiesta dell’Onu ha l’obiettivo di approfondire le conseguenze sui diritti civili, politici, economici, sociali e culturali del popolo palestinese nei territori illegalmente occupati da Israele da oltre 50 anni, fortemente penalizzati dal rischio di conflitti e violenze e dalla sistematica violazione dei diritti umani.

L’idea di una lista di imprese presenti nei Territori è nata nel 2016 dall’iniziativa del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, per dare seguito al rapporto del 2013 della Missione di indagine indipendente sulle implicazioni degli insediamenti israeliani.
Secondo il diritto internazionale, infatti, tutti gli insediamenti nei Territori sono da considerarsi illegittimi e in aperto contrasto con le norme consuetudinarie e convenzionali; sebbene la creazione e l’espansione degli insediamenti nei territori occupati, nonché il trasferimento di popolazione civile da parte di Israele in questi territori, siano quindi contrari al diritto internazionale, il rapporto non vuole essere un avvertimento di carattere giudiziale o stragiudiziale, né sindacare sulla legalità delle attività di per sé, ma rispondere a un principio di trasparenza e dialogo con gli Stati

Scarica qui l’elenco aggiornato

Leggi qui l’articolo originale su Altreconomia

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Palestina

Tecnologia per uccidere

Israele è uno dei principali produttori ed esportatori mondiali di armamenti (10° secondo ISPRA 2018-2022).

Probabilmente i territori occupati sono un ottimo terreno per sviluppare indisturbati le tecnologie, nonché una buona garanzia per i potenziali clienti che acquistano prodotti ben testati.

Ecco un esempio di drone nella duplice versione: militare (in versione chiamata “incruenta”) e civile (in versione “agricola”).

Per sterminare umano e non-umano direttamente dall’ufficio.

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Palestina

Gaza: genocidio e inaccessibilità al cibo

Access to Food in Gaza: The Bleak Intersection of Genocide and Food Inaccessibility

Union of Agricultural Work Commitments (UAWC) Statement, 24 October 2023

The ongoing crisis in the Gaza Strip has reached alarming proportions, with its impact echoing far beyond its immediate geographic confines. At the core of this escalating disaster is the fundamental human right to food—a right that is now perilously under threat for the Palestinian residents of Gaza.

Historically, Gaza has been an epicenter of rich agricultural production, feeding not only its own residents but also serving as a vital food resource in the region. But the recent waves of Israeli aggression and sustained blockades have crippled this once-thriving sector. The disruption of essential imports, coupled with the inaccessibility to local farmlands due to conflict, has left the people of Gaza with dwindling food resources.

The severity of this situation cannot be understated. Without adequate food, residents face malnutrition, increased vulnerability to diseases, and a heightened mortality rate, especially among children and the elderly. The daily struggles of families trying to secure a single meal, with parents facing the heart-wrenching ordeal of seeing their children go hungry, are becoming the distressing norm.

Beyond the immediate physiological effects of food scarcity, there are profound psychological and societal implications. Chronic hunger breeds despair, intensifies trauma, and deepens socio-economic inequalities. In the broader spectrum, this crisis threatens to destabilize an already fragile region, with potential repercussions on a global scale.

Given the magnitude of this emergency, it is incumbent upon the international community to intervene promptly and robustly. A multifaceted approach is crucial—encompassing immediate relief efforts, sustained diplomatic interventions to restore peace, and long-term strategies to rejuvenate Gaza’s agricultural sector.

Inaction or delayed action will only serve to exacerbate an already grave situation. With each passing day, the humanitarian catastrophe inches closer to an irreversible tipping point. Hence, it is imperative that global powers, humanitarian organizations, and the broader international community rally together to prevent further degradation of life in Gaza and uphold the sacrosanct right to food for its people.

Leggi qui l’articolo originale:
https://viacampesina.org/en/access-to-food-in-gaza-the-bleak-intersection-of-genocide-and-food-inaccessibility/

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Palestina

Nuova dichiarazione e appello de La Via Campesina

Il genocidio israeliano in corso a Gaza: un appello per un’azione globale immediata!

Dichiarazione della Via Campesina

(Bagnolet, 25 gennaio 2023) Mentre la guerra intrapresa dall’occupazione israeliana nella Striscia di Gaza entra nei suoi 106 giorni, La Via Campesina è solidale con il popolo di Gaza, che sta attraversando una crisi umanitaria inimmaginabile.
Questa guerra di annientamento ha provocato oltre 25.000 vittime, più di 62.000 feriti e oltre 8.000 dispersi – uno sconcertante 4% della popolazione di Gaza.
Questa statistica allarmante dipinge un quadro terrificante della situazione a Gaza, una regione in cui gli elementi essenziali della vita sono scomparsi, abbandonando la sua popolazione in una ricerca di sicurezza senza fine.

Ad aggravare ulteriormente questa terribile situazione è il blocco al valico di Rafah. A oltre 15.000 camion carichi di cibo, acqua e forniture mediche ssolutamente necessarie viene impedito di entrare a Gaza. È stato consentito il passaggio solo a poche centinaia di camion, lasciando la maggior parte bloccati al confine. Questo blocco rappresenta un uso vergognoso della fame come arma contro i civili, una palese violazione dei diritti umani.

Le azioni dell’occupazione israeliana hanno portato alla distruzione quasi totale di oltre il 75% di Gaza, in tutto o in parte.
Le famiglie in fuga per motivi di sicurezza vengono ripetutamente prese di mira, e la loro probabilità di morte a causa di attacchi successivi aumenta in continuo.
L’uso spietato della fame come arma da parte dell’occupazione israeliana evidenzia una strategia vergognosa contro i civili.

Mentre ci avviciniamo all’inizio del Ramadan, che inizia all’inizio di marzo, la situazione a Gaza diventa ancora più critica. L’escalation storica durante questo periodo, combinata con la massiccia carenza di cibo, indica che la guerra si intensificherà e si diffonderà anche in Cisgiordania, che sta già sperimentando operazioni senza precedenti di uccisioni e distruzioni da parte dell’occupazione.

La Via Campesina chiede con urgenza alla comunità internazionale di intervenire e salvare oltre 5 milioni di palestinesi a Gaza e in Cisgiordania dai pericoli di fame, morte e uccisione.
Chiediamo la fine dell’occupazione, la messa sotto accusa dei criminali di guerra israeliani e che non sia permesso loro di eludere la giustizia come in passato.

Esortiamo le nazioni libere del mondo a seguire l’esempio del Sud Africa avviando azioni legali contro l’occupazione nei tribunali internazionali, in particolare presso la Corte Internazionale di Giustizia. Ciò è fondamentale per imporre un completo isolamento allo Stato israeliano, costringendolo a ritirarsi e a fermare la guerra.

Dobbiamo unire i nostri sforzi e intensificare le nostre voci per porre fine a questa guerra e prevenirne la diffusione nei prossimi mesi.

Per il diritto a vivere in pace, giustizia e dignità.

Leggi qui l’originale completo:
https://viacampesina.org/en/the-ongoing-israeli-genocide-in-gaza-a-call-for-immediate-global-action/

Firma qui l’appello:
ACT NOW FOR PALESTINE! EVERY ACTION COUNTS!

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Palestina

Agribusiness as Usual

Qui sotto un estratto da “Agribusiness as Usual – Agricultural Technology and the Israeli Occupation” pubblicato nel gennaio 2020 dal centro di ricerca “Who Profits”.

Who Profits Research Center è un centro di ricerca indipendente (fondato nel 2007 dalla Coalition of Women for Peace) che lavora sul coinvolgimento commerciale di aziende israeliane e internazionali nell’attuale occupazione israeliana della terra e della popolazione palestinese e siriana.


In this report, Who Profits shows that Israeli agritech companies are deeply complicit in the ongoing occupation of Palestinian and Syrian land. The report exposes the contribution of agritech firms to agriculture in illegal settlements and examines their role in the Israeli blockade of Gaza. It investigates the reciprocal ties that exist between the Israeli agritech and military industries and highlights the economic gains made by Israeli agritech industries through their collaboration with the Israeli military apparatus.

Irrigating fields, protecting crops and providing technical support to farmers are generally regarded as benign, even positive, activities. Yet as this report demonstrates, in the context of Israel’s prolonged military occupation of Palestinian and Syrian territory, such activities acquire a regressive political character and become implicated in structures of repression, land grab and rights violations.

Unlike agriculture, which physically appropriates land and resources, agricultural technology (agritech) forms a largely invisible layer in the ongoing process of dispossession through agricultural land grab in the occupied West Bank and Syrian Golan. Rarely discernible to the naked eye, irrigation pipes, fertilizers and herbicides and agronomic technical assistance nonetheless play a crucial part in sustaining illegal settlement agriculture.

Moreover, while the use of the occupied Palestinian territory and its captive population as a laboratory for military and crowd control technologies is well documented, this report demonstrates that the framework of occupation also provides the civilian agritech sector with a testing ground for the development of products and technologies.

Through their participation in agricultural experiments conducted by settlement Research and Development (R&D) centers, major agritech corporations such as Israel Chemicals and Netafim are able to use occupied land as a laboratory for the testing of products.

Furthermore, Israeli and international agritech firms increasingly collaborate with Israeli military and security corporations to extend the commercialization of occupation-generated know-how well beyond the purview of security markets. Collaborations include the adaptation of the Iron Dome command and control system for smart irrigation as well as the use of Israel Aerospace Industries (IAI) military drones for large scale precision agriculture. Such partnerships enable Israeli military corporations to penetrate new markets while positioning a sanitized version of their repressive technologies, developed in the context of a prolonged military occupation, as part of the effort to combat the global crises of climate change and food insecurity.

This report examines the Israeli agritech industry and R&D activity in occupied territory and exposes the complicity of Israeli and international corporations in settlement agricultural production. It also presents the use of herbicide spraying against Palestinian farmers in the besieged Gaza Strip. Finally, it investigates commercial agritech applications of military technology, focusing on four recent case studies.